La BCE e il tasso d’inflazione
Quando parliamo di Unione Europea ci riferiamo in verità alle sue diverse istituzioni, ognuna delle quali presenta diverse funzioni ed obiettivi. Una delle più importanti è senza dubbio la Banca Centrale Europea (o BCE), che ha assunto un valore ancor maggiore a seguito dell’adozione della moneta unica. Sebbene a volte l’opinione pubblica e i media si aspettino che questa istituzione intervenga per risolvere direttamente questioni relative all’occupazione e alla crescita, lo scopo dichiarato della BCE è in primo luogo monitorare l’inflazione nei paesi dell’Eurozona. Non è un caso che la sua sede sia in Germania, a Francoforte, teatro di uno dei più catastrofici esempi di svalutazione monetaria nel periodo che ha preceduto l’avvento del nazismo: lo scopo della Banca Centrale è evitare di ripetere infatti simili errori.
Il tasso d’inflazione ottimale, al fine di garantire coesione sociale e sviluppo economico, si dovrebbe attestare su di un livello leggermente inferiore al 2%. Tassi superiori generano conseguenze negative sul potere d’acquisto della moneta, sui redditi e sugli investimenti.
Tuttavia, anche un livello di inflazione molto più basso del 2%, come quello attuale (il tasso nei 28 paesi UE è 0,0%, in alcuni di questi si registra persino una deflazione) non è un buon segnale per l’economia. Gli effetti sono infatti tanto pericolosi quanto quelli di un’eccessiva inflazione: chi deve effettuare degli acquisti preferisce posticipare (aspettandosi un ulteriore discesa dei prezzi), l’economia ristagna, le aziende non fanno profitti e sono costrette a licenziare, i redditi diminuiscono e questo completa la spirale causando una diminuzione dei consumi.
Questo spiega perchè, tra i vari interventi recenti della BCE, si registrano tentativi di “pompare” maggiore liquidità nell’economia dell’Eurozona, al fine di stimolare consumi e riguadagnare un livello di inflazione sempre più vicino al 2%.