
USA, boom di entrate daziarie: record storico per il Tesoro americano
Gli Stati Uniti hanno registrato un dato sorprendente: un record storico nelle entrate provenienti dai dazi doganali. Una cifra che supera ogni previsione e che rappresenta una svolta nell’economia americana. Ma da dove arrivano questi soldi? E qual è il rovescio della medaglia?
Negli ultimi anni, a partire dalla presidenza Trump e con la continuità in parte mantenuta sotto l’amministrazione Biden, la politica commerciale statunitense ha preso una piega più aggressiva, caratterizzata da dazi imposti a decine di Paesi e prodotti.
Il risultato? Un incremento drastico delle entrate tariffarie. Tuttavia, dietro a questo boom fiscale si nascondono costi economici meno visibili, ma altrettanto rilevanti.
Numeri record e cause del boom daziario
Secondo i dati ufficiali diffusi dal Dipartimento del Tesoro, gli Stati Uniti hanno incassato oltre 100 miliardi di dollari in entrate daziarie nell’ultimo anno fiscale – un record assoluto nella storia americana. Questo traguardo è stato raggiunto principalmente grazie a una fitta rete di tariffe imposte su migliaia di categorie merceologiche, provenienti da Paesi come Cina, Messico, Unione Europea, India e altri.
Il maggior contributo è arrivato dalle importazioni cinesi. I dazi imposti dal 2018 in poi su prodotti come elettronica, acciaio, macchinari, abbigliamento e beni di consumo hanno generato decine di miliardi di dollari all’anno. Anche l’industria automobilistica europea è stata colpita, così come prodotti agricoli e alimentari da Paesi del Sud America.
A livello tecnico, questi dazi funzionano come una tassa sulle importazioni. Le aziende che importano beni soggetti a dazi devono pagare un’aliquota che va dal 10% al 30% – a seconda del prodotto e del Paese d’origine – direttamente al governo. In teoria, questo protegge la produzione interna. In pratica, però, le aziende spesso scaricano il costo sui consumatori.
Il Tesoro americano, dal canto suo, ha beneficiato enormemente di queste entrate extra, utilizzate per ridurre il deficit o finanziare programmi di sussidio, come quelli per gli agricoltori penalizzati dalle ritorsioni commerciali.
Il costo nascosto dei dazi: consumatori e imprese sotto pressione
Nonostante l’apparente successo sul piano fiscale, il sistema daziario americano presenta anche un lato oscuro. Le entrate record sono in realtà il sintomo di un aumento dei costi per le aziende e i consumatori americani. Secondo un’analisi del Peterson Institute for International Economics, i dazi hanno comportato un costo medio annuo di circa 1.200 dollari per ogni famiglia americana sotto forma di aumenti di prezzo.
Le imprese che importano materie prime o componenti dall’estero si sono trovate improvvisamente a fronteggiare margini più stretti e scelte difficili: assorbire i costi (rischiando di fallire) oppure aumentarli per il consumatore finale. Questo ha influito negativamente soprattutto sulle piccole e medie imprese, meno attrezzate per fronteggiare questi cambiamenti.
Anche la competitività internazionale delle aziende americane ne ha risentito. Con materiali più costosi e catene di approvvigionamento frammentate, molte imprese hanno ridotto le esportazioni, perso contratti globali o delocalizzato parte della produzione per evitare le tariffe.
Un altro aspetto poco considerato è la reazione degli altri Paesi. In risposta ai dazi americani, molte nazioni hanno introdotto misure di ritorsione colpendo prodotti “sensibili”: soia, carne, whisky, auto. Questo ha avuto un impatto significativo sugli agricoltori e sui produttori americani, costringendo il governo a intervenire con pacchetti di sussidio multimiliardari. In pratica, una parte delle entrate daziarie è stata poi redistribuita per “riparare” i danni causati dagli stessi dazi.
Protezionismo vs globalizzazione: un equilibrio difficile
La crescita delle entrate daziarie si inserisce in un dibattito più ampio: quello tra protezionismo e globalizzazione. Da una parte, le tariffe sono viste come uno strumento di difesa per l’industria nazionale e per correggere squilibri commerciali; dall’altra, sono criticate per i loro effetti distorsivi e per il danno che arrecano al commercio internazionale.
L’amministrazione Trump ha difeso i dazi come leva strategica per negoziare accordi commerciali più vantaggiosi, soprattutto con la Cina. L’accordo “fase uno” firmato nel 2020 ne è un esempio, ma molti osservatori lo considerano incompleto e parzialmente disatteso.
Anche l’amministrazione Biden, sebbene più moderata nei toni, ha mantenuto gran parte delle tariffe imposte dal suo predecessore. Questo dimostra che il protezionismo ha ormai fatto breccia nella politica economica americana, diventando trasversale e bipartisan.
Tuttavia, gli effetti collaterali continuano a emergere. L’inflazione, tornata a livelli record, è stata in parte alimentata dall’aumento dei costi delle importazioni. Le catene di fornitura, già messe a dura prova dalla pandemia, sono diventate ancora più fragili. E i rapporti con alcuni storici alleati sono stati incrinati da misure percepite come punitive e unilaterali.
Conclusione
Le entrate daziarie record degli Stati Uniti rappresentano una vittoria apparente. Sebbene abbiano generato risorse fiscali significative, queste misure hanno creato tensioni economiche interne e internazionali. I dazi sono una leva potente, ma rischiano di ritorcersi contro chi li utilizza se non sono accompagnati da una visione chiara e da politiche di compensazione efficaci.
L’equilibrio tra protezione dell’economia interna e apertura al commercio globale è più delicato che mai. Mentre il Tesoro festeggia l’extra gettito, le famiglie americane pagano il prezzo con inflazione e ridotto potere d’acquisto.
Il dibattito è destinato a proseguire: l’America può permettersi di diventare un paese protezionista in un mondo interdipendente? O rischia di perdere competitività e leadership economica globale?
FAQ
1. Quanto hanno incassato gli USA dai dazi nell’ultimo anno?
Oltre 100 miliardi di dollari, una cifra mai raggiunta prima.
2. Quali sono i principali settori colpiti dai dazi?
Acciaio, alluminio, elettronica, auto, prodotti agricoli e beni di consumo provenienti soprattutto da Cina, UE e Sud America.
3. I dazi hanno danneggiato i consumatori americani?
Sì, i costi maggiori per le imprese si sono riflessi in prezzi più alti per molti beni, causando una perdita media di 1.200 dollari annui per famiglia.
4. Qual è stata la reazione dei partner commerciali?
Molti Paesi hanno introdotto dazi di ritorsione, colpendo settori chiave dell’export americano.
5. I dazi sono ancora in vigore sotto l’amministrazione Biden?
Sì, in larga parte sono stati mantenuti, anche se con approcci più negoziali rispetto all’era Trump.